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Mostra

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Soglie mobili Natura - Cultura - Identità

data evento     Sabato 31 Marzo 2018

luogo evento     Andora

luogo evento     Apri la mappa - Vai a Google Maps

ora evento     ore 18.30

Centro Stampa Offset

PALAZZO TAGLIAFERRO fino al 17 giugno 2018

INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA "Soglie mobili Natura - Cultura - Identità" INES FONTENLA | ANGELO BELLOBONO

sabato 31 marzo alle ore 18.30
presso il Contemporary Culture Center di Palazzo Tagliaferro di Andora (SV)

Alle 18.30 saluto del Sindaco di Andora Mauro Demichelis e dell’Assessore alla Cultura Maria Teresa Nasi.
Introduzione alla mostra delle curatrici.
A seguire rinfresco.



La guerra moderna alle paure umane, sia essa rivolta contro i disastri di origine naturale o artificiale, sembra avere come esito la redistribuzione sociale delle paure, anziché la loro riduzione quantitativa. Zygmunt Bauman

Contemporary Culture Center di Palazzo Tagliaferro: inaugurazione sabato 31 marzo 2018 ore 18.30 “Soglie Mobili - Natura/Cultura/Identità” Ines Fontenla | Angelo Bellobono, a cura di Viana Conti e Christine Enrile.



Ingresso libero.

Da giovedì a domenica ore 15 – 19, apertura straordinaria lunedì 2 aprile.

Il Contemporary Culture Center di Palazzo Tagliaferro inaugurerà sabato 31 marzo alle ore 18.30 la mostra “Soglie Mobili - Natura/Cultura/Identità” Ines Fontenla|Angelo Bellobono a cura di Viana Conti e Christine Enrile.

Soglie della mente e del corpo, della psiche e dell’identità, confini della terra e dell’aria, dei monti e dei mari, del gelo artico e della calura tropicale, dei continenti e delle isole, dei Paesi e delle Comunità umane, sono diventati mobili, slittanti come faglie tettoniche, sono entrati nella dimensione fluida dello sconfinamento, del mutamento, dell’ibridazione, talvolta anche della sparizione. I popoli tutti partecipano della condizione inquieta e inquietante del transito.
La visione teorica del filosofo e sociologo Zygmunt Bauman vede, nel passaggio dalla Modernità solida alla Postmoderni liquida, il dilagare di un’insicurezza, di un’instabilità dei valori fondanti l’umanità, la coscienza, la consapevolezza, il senso di appartenenza, il diritto alla libertà, al dissenso, alla pace. Ines Fontenla artista argentina di segno concettuale, nomade per vocazione, nata a Buenos Aires, residente a Roma attiva internazionalmente ha riflettuto su molte delle tematiche teorizzate da Bauman riportandole all’interno delle sue installazioni e delle sue opere. Osservando le opere di Ines Fontenla, da quelle dell’utopia e dei territori immaginari a quelle delle migrazioni e dei conflitti sociali a quelle legate all’ambiente e alla natura, molti i quesiti che si aprono sulle tematiche che esse sviluppano. I lavori di Ines presentano tutti più o meno evidentemente un rimando autobiografico, lei migrante con la famiglia dall’America Latina ( argentina naturalizzata italiana) riflette molto sul suo profondo rapporto con la terra d’origine.
Ines che si reca ancora a Buenos Aires dove trascorre periodi di lavoro e vita ha selezionato per il Contemporary Culture Center di Palazzo Tagliaferro una serie di installazioni site specific, light-box, bassorilievi, fotografie, video, still da video, che ricostruiscono, esteticamente e metaforicamente, ambienti, paesaggi, utopie, archeologie, realtà, in cui un ideale viaggio Verso Itaca viene ostacolato e frenato dalle urgenze del quotidiano, in cui i templi della Classicità greca e romana, costruiti come mito di Armonia e Bellezza, rovinano su se stessi Alla Fine delle Utopie, distrutti dalla violenza del Potere. Riflettono il Cielo alla Fine del Mondo gli insediamenti urbani della Tierra del Fuego, ricostruiti con piccole case, di tipologia locale, dai rassicuranti colori pastello: li sovrasta una pioggia di raggi ultravioletti, filtrata dal buco dell’ozono, rappresentata in forma di affilati coltelli sospesi nell’atmosfera. L’assottigliarsi dello strato di ozono, che ha funzione di filtro dei raggi solari, è causa, infatti, di danni irreversibili sull'intero ecosistema e sulla salute dell’uomo. Le nubi di gas e veleni inquinanti che vorticano sul Polo Sud, provengono da un altrove, da lontani Paesi del benessere, passati da uno stadio rurale ad una sconsiderata industrializzazione. Secondo la teoria del caos, ricorda l’artista, piccole varianti delle condizioni climatiche iniziali produrrebbero nel sistema aumenti abnormi del fenomeno, come appunto accade per il buco dell’ozono stratosferico che aumenta costantemente ad ogni primavera nelle regioni polari. Davanti allo scenario delle opere, riecheggia, virtualmente, in sala, la celebre domanda di Edward Lorenz: può, il batter d'ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas? In Albedo 1 i grandi iceberg dell’Antartide si staccano dalla piattaforma glaciale per galleggiare alla deriva, squagliandosi inarrestabilmente. In Albedo 2 quattro ignari pinguini, osservando sconsolati i ghiacciai che si ritirano, il livello dei mari che aumenta a causa del riscaldamento globale, assistono increduli ai disastri dell’Homo sapiens! Nell’installazione Il Giardino dei sentieri che si biforcano, titolo ripreso da un racconto dello scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges, Inés Fontenla ipotizza uno slittamento progressivo di futuri possibili, costruendo, su strisce di manto erboso verde, un metafisico labirinto temporale, su cui due pendoli trasparenti oscillano ritmicamente, mentre parole di luce indicano il percorso in cui Scienza-Natura-Spazio-Uomo interagiscono.

Si intitola provocatoriamente Pace un emisfero ligneo della Terra i cui continenti, paradossalmente come nelle guerre di trincea, sono tenuti insieme da un minaccioso, tagliente, filo spinato. Due planisferi rappresentano, sotto lo sguardo dell’osservatore, la dissociazione in atto della compagine dei continenti, mentre un fondo sonoro accompagna il Requiem Terrae. Le sensibili riflessioni etiche, le vaste griglie di ricerca storica e cosmologica dell’artista argentina Inés Fontenla trovano, nel suo immaginario, un’altamente significativa rappresentazione estetica.

Pittore e ideatore di progetti partecipativi e sociali, Angelo Bellobono (Nettuno, Roma,1964), mette in atto una piattaforma relazionale tra soggetti identitari, situazioni antropologiche, aree geologiche, che coniuga la sua passione per lo sci e l’alta montagna a un innegabile immaginario creativo. Incline al paradosso, costruisce, virtualmente, ponti sulle cime innevate dell’Alto Atlas del Marocco, distende manti di candida neve sullo specchio azzurro del Mediterraneo, ricrea e comunica, con la sua opera, una sconosciuta icona dell’Africa come terra di ghiacciai cristallini, sconfessando quella diffusa dal turismo di massa. I suoi Visages-Paysages, ritratti di volti e di paesi, dipinti in acrilico, olio, terra, sali minerali, si fondano su una linea di scorrimento che non cessa di aprire spazi alle proiezioni di chi guarda. Le montagne che ritrae nei suoi megadipinti visionari cessano di essere barriere – come comunica l’artista stesso – per divenire interminabili cerniere; le grandi masse di ghiaccio delle formazioni nevose perenni, dai riflessi verde smeraldo, stratificate in accoglienti e sinuosi avvallamenti, incise e scritte da vertiginosi crepacci , rappresentano l’insondabile archivio delle memorie del pianeta. Nei suoi volti umani fatti di neve, di ghiaccio, di terra, sono leggibili storie di vita di creature di ogni età, che vivono esperienze di indigenza, disagio, emarginazione, discriminazione, ma anche di inaspettate aperture di solidarietà, comunicazione, scambio solidale di valori.

La stratificazione di segni, gesti, colori, emozioni, ricordi, si ritrova anche nei suoi Libri d’Artista dai Confini slittanti/Artist Books Moving borders, dipinti su storie altre, su pagine di riviste, rotocalchi, cataloghi di anonimi. Risuonano nelle opere di Angelo Bellobono messaggi di un’altra umanità, di sogni e paure, di tradizioni arcaiche d’Oriente e d’Occidente. In progetti come Atla(s)now, che lo avvicinano alle comunità Amazigh dell'Alto Atlante marocchino, come Before me and after my time, che coinvolgono i Ramapough Lenape, i Nativi americani indigeni di New York e come Io sono futuro, volto alle aree appenniniche straziate dal sisma, Angelo Bellobono realizza il superamento di soglie e confini, spesso insormontabili, di carattere antropologico, etnico, geologico, identitario, confessionale, linguistico, uscendone trasformato e potenziato come entità individuale e collettiva. La sua opera pittorica si alimenta di valori materiali e immateriali, indaga la superficie e la profondità dell’essere, gioca con il significante e il significato delle parole. In titoli come Atla(s)now e Africa(n)ice le lettere verbali ed i significati si rincorrono, accennando all’adesso/now e alla neve/snow, all’Africa bella/nice e al ghiaccio/ice. Nelle sue Ice paintings , pitture intrise di luce, Angelo Bellobono rappresenta una total immersion nel bianco silenzio delle nevi, quando, in solitaria, vola sulle grandi piste d’alta montagna. Il suo spirito nomade e avventuroso, dedito al viaggio come alla meditazione, ha trovato nella ricerca estetica un campo di ricerca in cui le escursioni del suo immaginario e quelle della sua esistenza fisica coincidono.

testo tratto dal sito del Comune di Andora



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